Se leggo una poesia dedicata al mare, e un marinaio che non capisce nulla di poesia mi corregge, io gli sono riconoscente.
Questo vale anche per un boscaiolo, un fabbro, un muratore.
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Con le poesie che parlano di mare, dunque, vado dal marinaio, non da chi ama la poesia.
Che mi dirà il marinaio? Qualcosa di assai solido, di consistente per l’anima, una specie di ossatura.
Cosa mi dirà invece il cultore di poesia? Nella migliore delle ipotesi, mi trasmetterà una banale eco, e indebolita, dell’anima e di me stessa.
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Chi ascolto, poi?
Ascolto ogni voce che mi par grande, di chiunque sia.
Se un vecchio rabbino sapiente – grazie al suo sangue, alla sua età, ai suoi profeti – mi parlasse delle mie poesie, io lo ascolterei.
Se ama, lui, la poesia? No, non saprei
Forse non ne ha mai lette – di poesie.
Ma ama e sa tutto ciò da cui la poesia proviene, le fonti della vita, le fonti dell’essere.
E’ saggio, la sua saggezza per me basta e avanza.
Basta per me, basta per i miei versi.
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Ascolto ciò che risuona in me in modo costante, non uniforme: a volte mi fornisce indicazioni, a volte addirittura ordini.
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Tutto il mio scrivere è un continuo ascoltare, prestare orecchio.
Per continuare a scrivere, mi occorre rileggere continuamente.
E chi ascolto, oltre alla voce della natura, della saggezza?
Ascolto la voce di tutti i Maestri.